Libero Battistelli repubblicano di G.L.
articolo pubblicato il 23-11-2017 sul quotidiano AVANTI-online
Fra i principali esponenti del movimento, a 80 anni dalla morte nella guerra di Spagna, è giusto ricordare il bolognese Luigi “Libero” Battistelli.
Ricorda Alessandro Galante- Garrone (cfr. ristampa anastatica dei Quaderni di Giustizia e Libertà): «Nell’agosto 1929 a Parigi, in casa di Alberto Tarchiani, si erano riuniti attorno a Carlo Rosselli e a Lussu, appena evasi da Lipari, alcuni fuorusciti. Come lo stesso Tarchiani ci ha raccontato nelle pagine che precedono questa ristampa, mentre gli amici discutevano sul nome e sul programma da adottare per il nuovo movimento […] Raffaele Rossetti, l’audace e generoso affondatore della Viribus Unitis (nave ammiraglia della flotta militare austriaca, ndr) che era con loro mormorava tra sé il verso carducciano “ultime due superstiti. Giustizia e Libertà”. La reminiscenza piacque, e il nome fu scelto: quasi a ribadire la volontà di ricongiungersi alla tradizione mazziniano-garibaldina del Risorgimento.».
Nato nel 1893, Battistelli si riconobbe in gioventù negli ideali mazziniani, si iscrisse al PRI e fu amico del socialista Giuseppe Massarenti di Molinella. Si laureò presso l’Università di Bologna in giurisprudenza nel 1919 con una tesi su I lasciti per l’anima e per le opere di culto. Con l’amico Mario Bergamo assunse la difesa dei lavoratori agricoli di Molinella nella causa che li opponeva ai grandi proprietari terrieri.
Nel 1924 Emilio Caldara, già sindaco socialista di Milano, aveva incontrato Mussolini. Si ipotizzava una possibile collaborazione in vista di un corporativismo moderatamente democratico e socialista. Il caso Caldara provocò una forte polemica da parte di Rosselli (cfr. Quaderni di G.L. n. 2, 25/5; n.9, 13/7; n.14, 17/8; n.17, 6/9, 1924). Battistelli, analizzando il discusso attentato a Mussolini, che costò la vita a Bologna nel 1926 al giovane Anteo Zamboni, giunse alla conclusione che (non essendovi il benché minimo indizio che potesse far risalire a una qualche organizzazione antifascista) forse gli ideatori e i mandanti fossero stati gli stessi agrari fascisti della Val Padana, insofferenti della procedura troppo lenta e dell’eccessiva cautela diplomatica seguita da Mussolini per giungere al potere assoluto. Nel 1927 l’irruzione di fascisti nel suo studio professionale, che venne devastato e distrutto, convinse Battistelli a espatriare. Si trasferì a Rio de Janeiro, aderì alla LIDU (lega italiana dei diritti dell’uomo), divenne membro del comitato centrale del movimento Giustizia e Libertà e strinse amicizia con gli anarchici Nello Garavini ed Emma Neri.
Nel 1932 collaborò alla rivista Studi Sociali di Luigi Fabbri e fu in corrispondenza con Emilio Lussu e Camillo Berneri. Nello stesso anno e nel successivo pubblicò alcuni articoli sui Quaderni di Giustizia e Libertà. Nel fascicolo IV (settembre 1932), dal titolo significativo Disarmo e Stati Uniti di Europa osservava che, se la pace è obiettivo comune di ogni uomo, il fascismo è forse il regime politico che più teme la guerra, perché potrebbe segnare la sua fine. Le conferenze per il disarmo fallirono per un irrazionale ottimismo permeato di retorica. La creazione di una federazione europea (o mondiale) presuppone però un certo grado di omogeneità politico-sociale e occorre: «far sì che, dall’interno delle singole nazioni, la volontà non solo di pace, ma di giustizia, si orientino verso un ideale comune e informino di questo ideale la struttura politico-sociale dei singoli stati.». Il tema degli Stati Uniti di Europa sarebbe poi stato al centro delle riflessioni dei principali uomini di G.L. e nel 1936, a Radio Barcellona, Carlo Rosselli avrebbe pronunciato la profetica frase: «Non esiste altra politica estera, Stati Uniti di Europa… il resto è catastrofe.».
Nel fascicolo VII del giugno 1933, nell’articolo dal titolo Breve svolgimento di alcuni TEMI proposti da G.L., Battistelli concordava con le recenti critiche mosse alla socialdemocrazia e originate dagli esperimenti di governo in Germania e Austria. Vedeva le ragioni dell’insuccesso nel carattere religioso del marxismo in genere. «Das Kapital» osserva Battistelli «può essere interpretato, come possono essere interpretati: la Bibbia, Il Vangelo, Il Corano. Le interpretazioni possono dare origine a confessioni diverse (socialdemocratici e comunisti, come sadducei e farisei, cattolici e protestanti, halafiti e sciiti) tacciandosi a vicenda di eresia. Ma non può essere discusso. Il carattere religioso di un movimento, però, se rappresenta una forza espansiva di prim’ordine… costituisce un ostacolo gravissimo al suo adeguarsi alla realtà. La sconfitta vera, dove vi è stata, ha colpito in sostanza le ideologie liberali, democratiche, umanitarie, che i socialdemocratici si erano assunti il compito di difendere. La religiosità, carattere distintivo del Marxismo, si incontra particolarmente intensa nel comunismo. Religiosità intensa, fanatica, intollerante da cui l’odio implacabile contro il pagano e l’infedele (il borghese), ma l’odio ancora più implacabile contro l’eretico (il socialdemocratico, l’anarchico). Rispetto all’Italia il movimento Giustizia e Libertà sembra appunto rispondere alla realizzazione empirica di quell’aggiornamento, che la revisione dottrinaria del marxismo e quella assai più avanzata e assai meno necessaria dei socialismi a-marxisti devono operare nel campo teorico.».
Nel 1935 Carlo Rosselli iniziò una polemica contro gli esiliati che coinvolse gli antifascisti e lo stesso Mussolini. Da Rio de Janeiro, Battistelli scrisse a Rosselli: «O esiste (tra i giovani in Italia) l’accordo sui programmi più o meno sistematici e completi intorno ai quali si raggruppano gli antifascisti emigrati, e la rivoluzione, da chiunque fatta, segnerà il trionfo di tali programmi […], o tale accordo non esiste, perché i rimasti in Italia e le nuove generazioni non accettano tali programmi. E allora, se una rivoluzione sarà da loro compiuta, non sarà la nostra.». (cfr. Discussioni sull’esilio, 29/1/1935).
Nel fascicolo dei Quaderni di G.L. del 23/8/1935 in “Osservazioni sullo sport” Battistelli sottolineava l’importanza delle discipline sportive per le classi popolari come giovamento per irrobustire fisici indeboliti dai lavori ripetitivi degli operai. Invitava però i lavoratori a evitare la retorica dello sport di regime che poteva allontanare dall’impegno politico antifascista. Quando scoppiò la guerra di Spagna e gli internazionalisti accorsero a difendere la Repubblica, le corrispondenze dal fronte, in particolare quelle di Umberto Calosso, crearono un vero entusiasmo nei lettori. Anche Libero Battistelli si convinse della necessità di rientrare dal Brasile e affiancare i suoi vecchi amici che vedeva descritti come eroi mitici. Nel settembre 1936 fu incorporato nella Brigata Garibaldi agli ordini di Randolfo Pacciardi. Fu nei primi mesi del 1937 che la Brigata Garibaldi ebbe i maggiori successi.
Quando nello stesso anno la maggioranza degli anarchici della Colonna decise di ritirare la fiducia al nuovo comandante Orlandini perché di origine cattolico-popolare, Camillo Berneri tentò invano di farli recedere dalla decisione per il rischio di perdere la necessaria solidarietà di Giustizia e Libertà per l’anarchismo di Catalogna. I comunisti della Colonna solidarizzarono invece con la decisione di sfiduciare il comandante Orlandini, contribuendo così alla dissoluzione della Colonna. Rosselli allora tentò un nuovo nome che, pur inserito in una formazione a maggioranza anarchica, battezzò “Brigata Matteotti”.
A tentare un’intesa con la Brigata Garibaldi si impegnò Alberto Cianca, partito per il fronte spagnolo in temporanea sostituzione di Carlo Rosselli, che era rientrato in Francia per curare la sua flebite. Si rendeva così necessario un nuovo comandante per le forze militari di G.L. . Il 16/6/1937 Battistelli fu gravemente ferito da una mitragliatrice mentre era al comando del I° Battaglione della Brigata Garibaldi e morì poco dopo, a distanza di soli 10 giorni dall’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli a Bagnoles-de-l’Orne. I contrasti all’interno delle forze repubblicane sarebbero state certamente fra le cause determinanti della sconfitta e descritte poi con passione civile e precisione di cronaca dagli scritti di Arthur Koestler e George Orwell, oltre che dai diari di Aldo Garosci e Nicola Chiaromonte.
Emilio Lussu non riuscì a trattenere la commozione nel ricordare i compagni caduti, da Fernando De Rosa ai giellisti Libero Battistelli e Renzo Giua. Silvio Trentin invece in Giustizia e Libertà (cfr. anno V, 2/7/1937) onorò Battistelli ricordando i tre aspetti del militante, ormai divenuto eroe, che definì: «paladino dell’ideale, per 1) la fede nella rivoluzione come strumento per l’innalzamento della dignità umana 2) l’impegno per realizzare l’unità rivoluzionaria del popolo italiano 3) l’intransigenza nel porsi come antitesi irriducibile al fascismo.». Tutte caratteristiche che lo resero vero fratello politico e di pensiero di Carlo Rosselli.
Dopo la seconda guerra mondiale il Comune di Bologna intitolò a Libero Battistelli una via del centro storico. Nell’ottantesimo anniversario della morte, però, nessuno ha sentito la necessità di ricordarne la figura potente e inconciliata.
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